“La gioventù mi ha portato un cancro, la pandemia mi ha portato una vita”
Quella di Giorgia è una storia di rinascita. Giorgia è il nome di fantasia di una paziente del policlinico Gemelli: in questi giorni difficili di lockdown parziale sta per dare alla luce la sua primogenita, Elsa. Ha scoperto di essere incinta a marzo, in piena pandemia, nei giorni di lockdown totale. Ma la sua è una storia diversa, di chi vive un dramma nel dramma: dal 2014 Giorgia, 34 anni, combatte contro un cancro al seno.
«Era un giorno di fine marzo: il mondo sembra fermo, gli ospedali sono allo stremo, le aziende vanno in crisi – spiega Giorgia ai dottori e Repubblica – Quel giorno feci, così per gioco, un test di gravidanza. E compaiono due linee: mi sento male, le gambe cedono e le lacrime escono dagli occhi. Quel giorno ho capito che non bisogna mai smettere di credere che ogni cosa può tornare al proprio posto». Ma per Giorgia le cose al loro posto non ci sono dal 2014. «Avevo 27 anni quando mi fecero la diagnosi: cancro al seno. Nessun caso in famiglia. Inizio la mia battaglia, un viaggio chiamato cancro: non ci si riposa mai, non si può mollare, nemmeno un giorno. Ho impiegato molto tempo ad accettare la mia nuova immagine allo specchio e anche oggi, a trentaquattro anni, mi guardo e so di non essere come le altre ragazze della mia età perché le cicatrici restano, dentro e fuori».
Prima di iniziare la chemioterapia, i dottori propongono a Giorgia di conservare il tessuto ovarico per preservare la fertilità. «Io volevo sopravvivere e basta. Alla fine ho deciso, non convinta: loro guardavano oltre, io sapevo guardare solo a un passo da me». Iniziano per Giorgia lunghi mesi estenuanti di chemio, dolori, punture, stanchezza infinita, analisi, gambe che cedono, capelli che cadono, le ciglia che scompaiono. E anestesie, mastectomia e ricostruzione. «I dottori mi dicevano: ora dormi Giorgia, sta tranquilla. E io dentro di me pensavo: comunque vada, ce l’ho messa tutta. Ero talmente stanca da non sentire nemmeno la paura». Ma i test non lasciano scampo: l’esame istologico rivela che il tumore è ancora attivo. E ricominciano le sedute di radioterapia, le operazioni chirurgiche di lipofilling e ricostruzione al seno, le terapie ormonali. Fino al 2019. Giorgia recupera, tiene duro. «Sento il desiderio di una gravidanza: ne parlo con l’oncologo e interrompo tutte le terapie. Passa quasi un anno ma di gravidanze nemmeno l’ombra. Mi rendo conto di non essere padrona del mio corpo: una gravidanza non si decide a tavolino. Ero stanca, esausta, tutto era così complicato. A marzo arriva la pandemia. Mi viene da arrendermi: proprio quando avevo ritrovato la mia bellezza e il piacere di truccarmi, dovevo coprire il viso con la mascherina. Avevo voglia di uscire e invece dovevo restare chiusa a casa, il virus mi poteva far finire di nuovo in ospedale».
Il tempo scorre lento in casa, il paese è fermo, cerca di farsi forza cantando dai balconi, ma ha paura: ancora oggi non passa. Da marzo a dicembre, il lockdown è il filo conduttore della gravidanza di Giorgia. La gioventù le ha portato un cancro, la pandemia le ha portato una vita. Strano il destino, a volte.
[…]«Non bisogna mai smettere di credere che ogni cosa può tornare al proprio posto – conclude Giorgia – tra qualche settimana potrò abbracciare la mia Elsa e potrò raccontarle di questo 2020 così strano, di chi sta lottando contro il virus, di medici e infermieri, di questa pandemia che ci ha insegnato che non abbracciarsi è un atto d’amore, di me e di quanto sia imprevedibile e meravigliosa la vita, nonostante tutto».
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Fonte: La Repubblica 1 Dicembre, 2020 di Salvatore Giuffrida